“Dialettando” , la rubrica di Lino Montanaro propone tutti i giovedì proverbi e modi di dire lucerini, tramandati di generazione in generazione, per non dimenticare le origini della nostra amata Lucera.
DIALETTANDO 326
A Lucera non si dice “Stai commettendo una grossa cavolata!” ma si dice “E PROPEJE PPECCATE A DDÍJE! “ – (Traduzione: È proprio peccato contro Dio!)
A Lucera non si dice “Ho qualcosa di estraneo nell’occhio” ma si dice “M’È JJÚTE ‘NA SCKUFÍJE ND’A L’ÚCCHJE” – (Traduzione: Mi è entrato un bruscolo nell’occhio)
A Lucera non si dice “Ma sei sordo? “ma si dice “MA CHE TÍNE U SÍVE NDE RÉCCHJE? “ – (Traduzione: Ma che hai il sebo nelle orecchie?)
A Lucera non si dice “Ci siamo spiegati, senza l’ausilio della parola” ma si dice “CE SÍME CAPÍTE A SCISCKE “ – (Traduzione: Ci siamo capiti a cenni)
A Lucera non si dice “Devo sempre abbozzare” ma si dice “AGGHJA GNOTTE SÈMBE A VACANDE “ – (Traduzione: Debbo inghiottire sempre a vuoto )
A Lucera non si dice “Camminando curvo, si è ingobbito” ma si dice “QUILLE UAGLJÓNE PARE ‘NA FERCÍNA STORTE” – (Traduzione: Quel ragazzo sembra una forchetta storta)
A Lucera non si dice “Ha una dentatura forte e sana” ma si dice “TÈNE ‘NA RASTEGLJÉRE CA PARE NU CAVALLE PATRE “– (Traduzione: Ha i denti che sembra uno stallone)
A Lucera non si dice “Pure i poveri sono pieni di pretese” ma si dice “NGE STACE PEZZENDARÍJE SÈNZA DEFÍTTE “ – (Traduzione: Non c’è miseria senza difetti)
A Lucera non si dice “Nasconde i problemi, facendo finta che non esistano” ma si dice “VACE SCKITTE APPARANNE I FÚSSE “ – (Traduzione: Continua solo a coprire i fossi)
A Lucera non si dice “È tempo di siccità, c’è poca pioggia” ma si dice “AUANNE NEN CHJÓVE, VAVIJEJE”– (Traduzione: Quest’anno non piove, gocciola )
Credits Foto: Anni 70 -Piazza della Repubblica – Foto di Roberto Toriello – 1977
REGOLE DI PRONUNCIA
Il dialetto lucerino, come del resto ogni dialetto, ha le sue ben precise e non sempre semplici regole di pronuncia. Tutto questo, però, genera inevitabilmente l’esigenza di rispettare queste regole non solo nel parlare, ma anche e soprattutto nello scrivere in dialetto lucerino. Considerato che il fine di questa rubrica è proprio quello di tener vivo e diffondere il nostro dialetto, offrendo così a tutti, lucerini e non, la possibilità di avvicinarvisi e comprenderlo quanto più possibile, si ritiene di fare cosa giusta nel riepilogare brevemente alcune regole semplici ma essenziali di pronuncia, e quindi di scrittura dialettale, suggerite dall’amico Massimiliano Monaco.
1) La vocale “e” senza accento è sempre muta e pertanto non si pronuncia (spandecà), tranne quando funge da congiunzione o particella pronominale (e, che); negli altri casi, ossia quando la si deve pronunciare, essa è infatti sempre accentata (sciulutèzze, ‘a strètte de Ciacianèlle).
2) L’accento grave sulle vocali “à, è, ì, ò, ù” va letto con un suono aperto (àreve, èreve, jìneme, sòrete, basciù), mentre l’accento acuto “á, é, í, ó, ú” è utilizzato per contraddistinguere le moltissime vocali che nella nostra lingua dialettale hanno un suono molto chiuso (‘a cucchiáre, ‘a néve, u rebbullíte, u vóve, síme júte), e che tuttavia non vanno confuse con una e muta (u delóre, u veléne, ‘u sapéve, Lucére).
3) Il trigramma “sck” richiede la pronuncia alla napoletana (‘a sckafaróje, ‘a sckanáte).
4) Per quanto riguarda le consonanti di natura affine “c-g, d-t, p-b, s-z” è stata adottata la grafia più vicina alla pronuncia popolare (Andonije, Cungètte, zumbà) quella, per intenderci, punibile con la matita blu nei compiti in classe.
5) Per rafforzare il suono iniziale di alcuni termini, si rende necessario raddoppiare la consonante iniziale (pe bbèlle vedè, a bbune-a bbune, nn’è cósa túje) o, nel caso di vocale iniziale, accentarla (àcede, ùcchije).
6) Infine, la caduta di una consonante o di una vocale viene sempre indicata da un apostrofo (Antonietta: ‘Ndunètte; l’orologio a pendolo: ‘a ‘llorge; nel vicolo: ‘nda strètte).
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