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Dialettando 319 – Modi di dire Lucerini

Dialettando, modi di dire lucerini

lino-montanaro“Dialettando” , la rubrica di Lino Montanaro propone tutti i giovedì proverbi e modi di dire lucerini, tramandati di generazione in generazione, per non dimenticare le origini della nostra amata Lucera.

DIALETTANDO 319

A Lucera non si dice “È una persona priva di acume mentale “ ma si dice
– “NZAPE NNÉ DE RÚTTE E MANGHE DE SANE “ – (Traduzione: Non sa se qualcosa è rotta o intera )

A Lucera non si dice “Fa finta di non sentire” ma si dice
– “QUILLE ABBATE SUPRANE “ – (Traduzione: Quello abita al piano di sopra)

A Lucera non si dice “Lo hanno picchiato di santa ragione” ma si dice
– “È JJÚTE PE SCKÓSSCE “ – (Traduzione: È andato per fuscelli )

A Lucera non si dice “Ci sono vicende che non dovrebbero essere mai narrate ma che tornano sempre a galla” ma si dice
– “I PILE DE MAMMANONNE, MMÓRTE, VVANNE ANGÓRE P’U MÚNNE “ – (Traduzione: I peli della nonna, morta, vanno ancora in giro per il mondo )

A Lucera non si dice “Certe volte la sfortuna non ne fa andar bene una” ma si dice
– “PASCALE PASSAGUÀJE CADE A VÍJE DE RÉTE E SE ROMBE ‘A PONDE D’U NASE “ – (Traduzione: Lo sfortunato cade all’indietro e si rompe la punta del naso)

A Lucera non si dice “È una persona che prende la vita con molta superficialità, senza preoccuparsi di nulla” ma si dice
– “CH’ATU CÚRPE SPENZARATE, MMAGNE E DDORME!” – (Traduzione: Corpo spensierato , mangia e dorme)

A Lucera non si dice “Ti riesce a manipolare facilmente ” ma si dice
– “QUÈLLE T’ARRAVÒGGHJE P’A LÈNGHE “– (Traduzione: Quella ti riavvolge con la lingua)

A Lucera non si dice “Non devi farti illusioni!” ma si dice
– “T’È FFÀ U MÈGGHJE SÚNNE!” – (Traduzione: Devi farti una bella dormita!)

A Lucera non si dice “È una donna incapace di organizzare l’economia domestica ” ma si dice
– “NZAPE MANGHE CÚME SE MÈTTE A TIJÉLLE SÓP’U FÚCHE “ – (Traduzione: Non sa nemmeno come si mette il tegame sul fuoco)

A Lucera non si dice “Non ne hanno nessuna considerazione” ma si dice
– “U TRATTÈNE CÚM’E NU STÚPPELE DE CANDRE”– (Traduzione: Lo trattano come la pezza del cantaro)

La rubrica Dialettando si ferma per il periodo estivo di luglio e agosto. Tornerà con tantissimi nuovi contenuti e aneddoti a partire dai primi giorni di settembre. Buone vacanze!

REGOLE DI PRONUNCIA

Il dialetto lucerino, come del resto ogni dialetto, ha le sue ben precise e non sempre semplici regole di pronuncia. Tutto questo, però, genera inevitabilmente l’esigenza di rispettare queste regole non solo nel parlare, ma anche e soprattutto nello scrivere in dialetto lucerino. Considerato che il fine di questa rubrica è proprio quello di tener vivo e diffondere il nostro dialetto, offrendo così a tutti, lucerini e non, la possibilità di avvicinarvisi e comprenderlo quanto più possibile, si ritiene di fare cosa giusta nel riepilogare brevemente alcune regole semplici ma essenziali di pronuncia, e quindi di scrittura dialettale, suggerite dall’amico Massimiliano Monaco.

1) La vocale “e” senza accento è sempre muta e pertanto non si pronuncia (spandecà), tranne quando funge da congiunzione o particella pronominale (e, che); negli altri casi, ossia quando la si deve pronunciare, essa è infatti sempre accentata (sciulutèzze, ‘a strètte de Ciacianèlle).

2) L’accento grave sulle vocali “à, è, ì, ò, ù” va letto con un suono aperto (àreve, èreve, jìneme, sòrete, basciù), mentre l’accento acuto “á, é, í, ó, ú” è utilizzato per contraddistinguere le moltissime vocali che nella nostra lingua dialettale hanno un suono molto chiuso (‘a cucchiáre, ‘a néve, u rebbullíte, u vóve, síme júte), e che tuttavia non vanno confuse con una e muta (u delóre, u veléne, ‘u sapéve, Lucére).

3) Il trigramma “sck” richiede la pronuncia alla napoletana (‘a sckafaróje, ‘a sckanáte).

4) Per quanto riguarda le consonanti di natura affine “c-g, d-t, p-b, s-z” è stata adottata la grafia più vicina alla pronuncia popolare (Andonije, Cungètte, zumbà) quella, per intenderci, punibile con la matita blu nei compiti in classe.

5) Per rafforzare il suono iniziale di alcuni termini, si rende necessario raddoppiare la consonante iniziale (pe bbèlle vedè, a bbune-a bbune, nn’è cósa túje) o, nel caso di vocale iniziale, accentarla (àcede, ùcchije).

6) Infine, la caduta di una consonante o di una vocale viene sempre indicata da un apostrofo (Antonietta: ‘Ndunètte; l’orologio a pendolo: ‘a ‘llorge; nel vicolo: ‘nda strètte).

[LINO MONTANARO BIOGRAFIA E PUBBLICAZIONI PRECEDENTI]

 

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