“Dialettando” , la rubrica di Lino Montanaro propone tutti i giovedì proverbi e modi di dire lucerini, tramandati di generazione in generazione, per non dimenticare le origini della nostra amata Lucera.
DIALETTANDO 260
A Lucera non si dice “Diffidare delle donne perditempo” ma si dice
– “FÈMMENE A’ FENÉSTRE, POCA MENÉSTRE “– Traduzione: (Donne alla finestra, poca minestra)
A Lucera non si dice “Nella vita bisogna essere sempre previdenti“ ma si dice
– “U MAGNÀ DE OGGE STIPELE PE CRAJE, ‘A FATÍGHE DE CRAJE, FALLE OGGE“– (Traduzione: Il cibo di oggi conservalo per domani, il lavoro di domani fallo oggi)
A Lucera non si dice “È una persona molto gracile” ma si dice
– “ASSEMÈGGHJE NU PULUCÍNE ND’A STOPPE” – (Traduzione: Sembra un pulcino nella bambagia)
A Lucera non si dice “Ancora non hai eseguito il compito affidatoti?” ma si dice
– “TE SI MÌSSE A CUNDÀ I SPICCE? “– (Traduzione: Ti sei messo a contare gli spiccoli?)
A Lucera non si dice “È un ingenuo credulone” ma si dice
– “ASSEMÈGGHJE A NU CÁCCHJE MBASSCIATE” – (Traduzione: Sembra un pene avvolto nelle fasce)
A Lucera non si dice “Ha perso troppo tempo a scegliere, finendo di lasciarsi scappare le cose migliori “ ma si dice
– “CHI TANDE CAPE, U PÈGGE SI PIGGHJE “– (Traduzione: Chi tanto sceglie, il peggio si piglia)
A Lucera non si dice “La saggezza delle persone anziane racchiude sempre preziosi consigli” ma si dice
– “U LARDE VÉCCHIE CONZE ‘A MENÉSTRE” – (Traduzione: Il lardo stagionato, condisce bene la minestra)
A Lucera non si dice “Mi pento di aver detto qualcosa di inopportuno o di aver parlato troppo” ma si dice
– “M’AVEVE MUZZECÀ ‘A LÉNGHE” – (Traduzione: Mi dovevo mordere la lingua)
A Lucera non si dice “Sei una persona insopportabile “ ma si dice
– “TU ME FAJE ASCÈNNE ‘A UALLE” – (Traduzione: Tu mi fai calare l’ernia)
A Lucera non si dice “Mi sono arrabbiato moltissimo” ma si dice
– “AGGHJE FATTE U SANGHE ACÍDE “- (Traduzione: Ho fatto il sangue acido)
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LINO MONTANARO E LINO ZICCA, ECCO IL NUOVO LIBRO
Ci siamo! Finalmente la tipografia Grafiche Catapano ha finito di stampare il nuovo libro di Lino Montanaro & Lino Zicca: “LUCERA DI UNA VOLTA ” che raccoglie oltre 120 brani di storia sommersa relativi a modi di dire, usanze, credenze, che riguardano pratiche religiose, usanze del ciclo della vita, pratiche e forme di magia, valore e svolgimento di feste religiose e civili, metodi per prevedere il tempo durante tutto l’arco dell’anno, scuola, personaggi, luoghi, giochi ed altro della Lucera di una volta.
Com’è possibile prenotarlo?
Il libro è disponibile presso Libreria Catapano in Viale Dante Alighieri, 1 a Lucera. E’ anche possibile prenotarlo direttamente da questa pagina, inviando un’email a: montanaro.lino@libero.it
REGOLE DI PRONUNCIA
Il dialetto lucerino, come del resto ogni dialetto, ha le sue ben precise e non sempre semplici regole di pronuncia. Tutto questo, però, genera inevitabilmente l’esigenza di rispettare queste regole non solo nel parlare, ma anche e soprattutto nello scrivere in dialetto lucerino. Considerato che il fine di questa rubrica è proprio quello di tener vivo e diffondere il nostro dialetto, offrendo così a tutti, lucerini e non, la possibilità di avvicinarvisi e comprenderlo quanto più possibile, si ritiene di fare cosa giusta nel riepilogare brevemente alcune regole semplici ma essenziali di pronuncia, e quindi di scrittura dialettale, suggerite dall’amico Massimiliano Monaco.
1) La vocale “e” senza accento è sempre muta e pertanto non si pronuncia (spandecà), tranne quando funge da congiunzione o particella pronominale (e, che); negli altri casi, ossia quando la si deve pronunciare, essa è infatti sempre accentata (sciulutèzze, ‘a strètte de Ciacianèlle).
2) L’accento grave sulle vocali “à, è, ì, ò, ù” va letto con un suono aperto (àreve, èreve, jìneme, sòrete, basciù), mentre l’accento acuto “á, é, í, ó, ú” è utilizzato per contraddistinguere le moltissime vocali che nella nostra lingua dialettale hanno un suono molto chiuso (‘a cucchiáre, ‘a néve, u rebbullíte, u vóve, síme júte), e che tuttavia non vanno confuse con una e muta (u delóre, u veléne, ‘u sapéve, Lucére).
3) Il trigramma “sck” richiede la pronuncia alla napoletana (‘a sckafaróje, ‘a sckanáte).
4) Per quanto riguarda le consonanti di natura affine “c-g, d-t, p-b, s-z” è stata adottata la grafia più vicina alla pronuncia popolare (Andonije, Cungètte, zumbà) quella, per intenderci, punibile con la matita blu nei compiti in classe.
5) Per rafforzare il suono iniziale di alcuni termini, si rende necessario raddoppiare la consonante iniziale (pe bbèlle vedè, a bbune-a bbune, nn’è cósa túje) o, nel caso di vocale iniziale, accentarla (àcede, ùcchije).
6) Infine, la caduta di una consonante o di una vocale viene sempre indicata da un apostrofo (Antonietta: ‘Ndunètte; l’orologio a pendolo: ‘a ‘llorge; nel vicolo: ‘nda strètte).
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