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21 Novembre 2024
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Dialettando 249 – Modi di dire Lucerini

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lino-montanaro“Dialettando” , la rubrica di Lino Montanaro propone tutti i giovedì proverbi e modi di dire lucerini, tramandati di generazione in generazione, per non dimenticare le origini della nostra amata Lucera.

DIALETTANDO 249

A Lucera non si dice “Spesso si è costretti a esercitare più ruoli” ma si dice
– “FÀ U PREVÉTE E U SAGRESTANE“ (Traduzione: Fare il prete ed il sacrestano)

A Lucera non si dice “È in ottima salute “ ma si dice
– “TÉNE ‘A MOLE CHE TUTT’I DÌNDE“ (Traduzione: Ha i molari con tutti gli altri denti)

A Lucera non si dice “È una persona scontrosa, altezzosa” ma si dice
– “TÉNE SÈMBE U MÚSSE STRÍNDE” (Traduzione: Ha sempre le labbra strette)

A Lucera non si dice “È grande il piacere che può procurare il comando” ma si dice
– “U CUMMANNÀ È MÈGGHJE D’U FOTTE“ (Traduzione: Il comandare è migliore del fottere)

A Lucera non si dice “Il bambino è affetto da eruzioni cutanee punteggiate” ma si dice
– “U CREIJATUE TÉNE U MEGLIATE” (Traduzione: Il bambino ha la febbre migliatica)

A Lucera non si dice “Si è rovinata la vista per il troppo studiare“ ma si dice
– “S’È NCGECALÚTE SÓP’I LIBBRE “ (Traduzione: Ha perso la vista sui libri)

A Lucera non si dice “Ti costringerò ad ascoltare, per farti capire bene quello che non vorresti sentire” ma si dice
– “T’AGGHJA SSCIUPPÀ U PUTRUSÍNE DA DIND’I RÈCCHJE” (Traduzione: Ti devo togliere il cerume dalle orecchie)

A Lucera non si dice “Il tuo è un desiderio irrealizzabile” ma si dice
– “T’ÀJA MMAGNÀ DE PANE TÚSTE PE FFÀ A MÓRE CHI MONECHE” (Traduzione: Tu hai da mangiarne di pane raffermo per poter fare all’amore con le monache)

A Lucera non si dice “Quando si scherza col fuoco va a finire che ci si scotta “ ma si dice
– “CHI PAZZÉJE C‘U MÚLE NN’I MANGHE NU CAVECE ‘NGÚLE” (Traduzione: A chi scherza con il mulo, non gli manca un calcio nel sedere)

A Lucera non si dice “Ha la coscienza sporca” ma si dice
– “TÉNE ‘A CAMMÍSE CACATE“ ( Traduzione: (Ha la camicia sporca di cacca).

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COPERTINALINO MONTANARO E LINO ZICCA, ECCO IL NUOVO LIBRO

Ci siamo! Finalmente la tipografia Grafiche Catapano ha finito di stampare il nuovo libro di Lino Montanaro & Lino Zicca: “LUCERA DI UNA VOLTA ” che raccoglie oltre 120 brani di storia sommersa relativi a modi di dire, usanze, credenze, che riguardano pratiche religiose, usanze del ciclo della vita, pratiche e forme di magia, valore e svolgimento di feste religiose e civili, metodi per prevedere il tempo durante tutto l’arco dell’anno, scuola, personaggi, luoghi, giochi ed altro della Lucera di una volta.

Com’è possibile prenotarlo?

Il libro è disponibile presso Libreria Catapano in Viale Dante Alighieri, 1 a Lucera. E’ anche possibile prenotarlo direttamente da questa pagina, inviando un’email a: montanaro.lino@libero.it

 

REGOLE DI PRONUNCIA

Il dialetto lucerino, come del resto ogni dialetto, ha le sue ben precise e non sempre semplici regole di pronuncia. Tutto questo, però, genera inevitabilmente l’esigenza di rispettare queste regole non solo nel parlare, ma anche e soprattutto nello scrivere in dialetto lucerino. Considerato che il fine di questa rubrica è proprio quello di tener vivo e diffondere il nostro dialetto, offrendo così a tutti, lucerini e non, la possibilità di avvicinarvisi e comprenderlo quanto più possibile, si ritiene di fare cosa giusta nel riepilogare brevemente alcune regole semplici ma essenziali di pronuncia, e quindi di scrittura dialettale, suggerite dall’amico Massimiliano Monaco.

1) La vocale “e” senza accento è sempre muta e pertanto non si pronuncia (spandecà), tranne quando funge da congiunzione o particella pronominale (e, che); negli altri casi, ossia quando la si deve pronunciare, essa è infatti sempre accentata (sciulutèzze, ‘a strètte de Ciacianèlle).

2) L’accento grave sulle vocali “à, è, ì, ò, ù” va letto con un suono aperto (àreve, èreve, jìneme, sòrete, basciù), mentre l’accento acuto “á, é, í, ó, ú” è utilizzato per contraddistinguere le moltissime vocali che nella nostra lingua dialettale hanno un suono molto chiuso (‘a cucchiáre, ‘a néve, u rebbullíte, u vóve, síme júte), e che tuttavia non vanno confuse con una e muta (u delóre, u veléne, ‘u sapéve, Lucére).

3) Il trigramma “sck” richiede la pronuncia alla napoletana (‘a sckafaróje, ‘a sckanáte).

4) Per quanto riguarda le consonanti di natura affine “c-g, d-t, p-b, s-z” è stata adottata la grafia più vicina alla pronuncia popolare (Andonije, Cungètte, zumbà) quella, per intenderci, punibile con la matita blu nei compiti in classe.

5) Per rafforzare il suono iniziale di alcuni termini, si rende necessario raddoppiare la consonante iniziale (pe bbèlle vedè, a bbune-a bbune, nn’è cósa túje) o, nel caso di vocale iniziale, accentarla (àcede, ùcchije).

6) Infine, la caduta di una consonante o di una vocale viene sempre indicata da un apostrofo (Antonietta: ‘Ndunètte; l’orologio a pendolo: ‘a ‘llorge; nel vicolo: ‘nda strètte).

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