“Dialettando” , la rubrica di Lino Montanaro propone tutti i giovedì proverbi e modi di dire lucerini, tramandati di generazione in generazione, per non dimenticare le origini della nostra amata Lucera.
DIALETTANDO 242
A Lucera non si dice “È una persona che esagera tutto” ma si dice
– “FACE PARÌ NU MÚNNE FENÚTE“
(Traduzione: Fa sembra apparire la fine del mondo)
A Lucera non si dice “Ha un aspetto malaticcio, patito “ma si dice
– “M’ASSEMÈGGHJE A ‘NA VUCÍLLE SPENNATE“
(Traduzione: Mi sembra un uccello spennato)
A Lucera non si dice “È una persona che non riesce ad assumersi le proprie responsabilità” ma si dice
– “QUILL’ÉJE VÚNE CHE PISSCE ND’O LÍTTE E DICE CHE CHJÓVE”
(Traduzione: Quello è uno che urina nel letto e dice che piove)
A Lucera non si dice “Mi disinteresso allegramente di quello che dicono gli altri” ma si dice
– “ ‘A TRIDECHE CCHJÙ GROSSE ME PASSE SÒTT’A COSSE“
(Traduzione: La critica più esagerata mi passa sotto le gambe)
A Lucera non si dice ” Pretende ogni cosa subito” ma si dice
– “ASSEMÈGGHJE ‘A GGÈNDE ‘I TASSE”
(Traduzione: Sembra l’agente delle tasse)
A Lucera non si dice “Alle persone testarde e stupide non si riesce in nessun modo a fargli mettere la testa a posto “ ma si dice
– “U LÉGNE STÚRTE NN’U DDRÍZZE MANGHE U FÚCHE “
(Traduzione: Il legno storto non viene raddrizzato neanche dal fuoco)
A Lucera non si dice “È una persona che ha difficoltà di evacuazione” ma si dice
– “QUILL’ÈJA VÚNE CHE TÉNE SÈMBE I SPREMELIZZE”
(Traduzione: Quello è uno che ha impedimenti ad andare di corpo)
A Lucera non si dice “È un fannullone che si risparmia sempre” ma si dice
– “ÈFÈSSE E CHE SFATEGÁTE CH’ÉJE, PARE U CAVÁLLE NGIAMBECATÁRE”
(Traduzione: Perbacco che fannullone, sembra il cavallo che inciampa)
A Lucera non si dice “Con quello sguardo serioso, ha sempre un’aria assente “ma si dice
– “TÉNE ‘A FACCE U GGUUÈRNE, STACE SÈMBE CÚM’E NU NGANDATE”
(Traduzione: Ha il viso del governo, sta sempre come un imbambolato)
A Lucera non si dice “Si vanta di una insignificante prova di coraggio” ma si dice
– “À DDATE NU SCKAFFE ‘NGÚLE O’ CIUCCE“
(Traduzione: Ha dato uno schiaffo sul sedere dell’asino)
A Lucera non si dice ” Ha subito una grossa perdita economica” ma si dice
– “È JJÚTE C’U CÚLE DÌND’I PEMMEDÓRE”
(Traduzione: È andato a finire col sedere nei pomodori)
———————————————————————————————————————-
LINO MONTANARO E LINO ZICCA, ECCO IL NUOVO LIBRO
Ci siamo! Finalmente la tipografia Grafiche Catapano ha finito di stampare il nuovo libro di Lino Montanaro & Lino Zicca: “LUCERA DI UNA VOLTA ” che raccoglie oltre 120 brani di storia sommersa relativi a modi di dire, usanze, credenze, che riguardano pratiche religiose, usanze del ciclo della vita, pratiche e forme di magia, valore e svolgimento di feste religiose e civili, metodi per prevedere il tempo durante tutto l’arco dell’anno, scuola, personaggi, luoghi, giochi ed altro della Lucera di una volta.
Com’è possibile prenotarlo?
Il libro è disponibile presso Libreria Catapano in Viale Dante Alighieri, 1 a Lucera. E’ anche possibile prenotarlo direttamente da questa pagina, inviando un’email a: montanaro.lino@libero.it
REGOLE DI PRONUNCIA
Il dialetto lucerino, come del resto ogni dialetto, ha le sue ben precise e non sempre semplici regole di pronuncia. Tutto questo, però, genera inevitabilmente l’esigenza di rispettare queste regole non solo nel parlare, ma anche e soprattutto nello scrivere in dialetto lucerino. Considerato che il fine di questa rubrica è proprio quello di tener vivo e diffondere il nostro dialetto, offrendo così a tutti, lucerini e non, la possibilità di avvicinarvisi e comprenderlo quanto più possibile, si ritiene di fare cosa giusta nel riepilogare brevemente alcune regole semplici ma essenziali di pronuncia, e quindi di scrittura dialettale, suggerite dall’amico Massimiliano Monaco.
1) La vocale “e” senza accento è sempre muta e pertanto non si pronuncia (spandecà), tranne quando funge da congiunzione o particella pronominale (e, che); negli altri casi, ossia quando la si deve pronunciare, essa è infatti sempre accentata (sciulutèzze, ‘a strètte de Ciacianèlle).
2) L’accento grave sulle vocali “à, è, ì, ò, ù” va letto con un suono aperto (àreve, èreve, jìneme, sòrete, basciù), mentre l’accento acuto “á, é, í, ó, ú” è utilizzato per contraddistinguere le moltissime vocali che nella nostra lingua dialettale hanno un suono molto chiuso (‘a cucchiáre, ‘a néve, u rebbullíte, u vóve, síme júte), e che tuttavia non vanno confuse con una e muta (u delóre, u veléne, ‘u sapéve, Lucére).
3) Il trigramma “sck” richiede la pronuncia alla napoletana (‘a sckafaróje, ‘a sckanáte).
4) Per quanto riguarda le consonanti di natura affine “c-g, d-t, p-b, s-z” è stata adottata la grafia più vicina alla pronuncia popolare (Andonije, Cungètte, zumbà) quella, per intenderci, punibile con la matita blu nei compiti in classe.
5) Per rafforzare il suono iniziale di alcuni termini, si rende necessario raddoppiare la consonante iniziale (pe bbèlle vedè, a bbune-a bbune, nn’è cósa túje) o, nel caso di vocale iniziale, accentarla (àcede, ùcchije).
6) Infine, la caduta di una consonante o di una vocale viene sempre indicata da un apostrofo (Antonietta: ‘Ndunètte; l’orologio a pendolo: ‘a ‘llorge; nel vicolo: ‘nda strètte).
[LINO MONTANARO BIOGRAFIA E PUBBLICAZIONI PRECEDENTI]