I proverbi e i modi di dire lucerini sono tanti. Di solito la loro origine è lontana e frutto di culture passate. Molto spesso hanno alle loro spalle un riferimento ben preciso, ovvero una storia e un significato, che non molti conoscono, dato che si tratta di detti appartenenti alla tradizione, alcuni scomparsi e altri poco in uso. Allora, non è mai troppo tardi per riproporli e questa rubrica offre un’opportunità piacevole, e speriamo interessante, per saperne di più.
“U CUZZARÍLLE D’A SCKANATE S’È NGRUSCKATE”
Traduzione: “La crosta della pagnotta di pane è diventata dura“.
Significato: Situazione difficile e dura.
Curiosità: Sckanate e cuzzarille sono termini lucerini che indicano rispettivamente la pagnotta di pane e la crosta ben cotta e croccante. La pagnotta è una specialità di pane pugliese, preparato da luogo a luogo con modalità e caratteristiche diverse, che ha conquistato, da tempo, le tavole di tutti gli italiani. A Lucera, ’a sckanata, ha la forma di una ruota: oggi, dal peso di uno o due chili; ieri, di quattro chili e più. È formata d’u cuzzarílle (dalla crosta) ruvida dal colore bruno ambrato e la parte interna, d’a mulleche (dalla mollica), morbida e con tante ccangèlle (buchi). Un pane di ottima qualità, saporito e gustoso, frutto di una grande tradizione locale. Un tempo, il pane si faceva nelle case e la sua preparazione richiedeva tanta fatica. In ogni casa, a quei tempi, era conservata della farina per fare il pane o la pasta fresca. Ogni quindicina, di buon’ora, le donne pesavano la farina necessaria alla bisogna, la passavano alla setèlle (al setaccio) e l’ammucchiavano al centro d’ u tavelíre, facendone un cratere. Si aggiungeva acqua tiepida e contemporaneamente u cresscènde (il lievito madre) che, conservato in vaso di terracotta smaltato all’interno, passava di famiglia in famiglia pronto per l’uso. Per ottenere un buon impasto, bisognava trembà (impastare) bene il tutto, lavorandolo con i pugni chiusi e con tutto il peso del corpo, voltandolo e rivoltandolo fino a farlo diventare consistente e omogeneo. Solo allora, ben coperto con panni e in ambiente caldo, esso veniva posto nd’a fazzatóre (una cassa rettangolare di legno) per lievitare. Successivamente, la pasta ottenuta veniva divisa in pannèlle (pezzature) di 4,5 chilogrammi. Queste ultime, messe nde cestarèlle (ceste di vimini), venivano segnate per essere riconoscibili e poi ricoperte anch’esse di panni. A un’ora prestabilita, i cestarèlle, erano portate al forno direttamente o ritirate dal fornaio, il quale nfurnave i panelle (infornava la pasta) per la cottura, secondo un turno prestabilito. Per questa prestazione al fornaio veniva corrisposto un compenso congruo alla pesatura e al numero dei pezzi. Nei locali del forno o nei pressi si radunavano sempre molte donne per aspettare il turno da nfurnate e ritirare il proprio pane. Era questa un’occasione d’incontro per aggiornarsi sulle ultime notizie e vicende di Lucera, per raccontarsi fatti e per fare pettegolezzi su persone di comune conoscenza, su liti e discussioni avvenute con cognate, nuore, suocere, vicine di casa. Quando il pane era cotto, il fornaio, sfornandolo, chiamava ad alta voce il nome della persona cui appartenevano i sckanate da portate a casa. E quando ivi arrivavano si diffondeva nell’aria un sapore di buono che stuzzicava l’appetito. Il pane d’a sckanate si manteneva morbido per molti giorni; e quando diventava duro era usato per fare u panecútte (il pancotto), l’acquasale ( la panzanella) e lo si poteva gustare nd’a zúppe d’u latte (con la zuppa di latte). Oggi la tradizione si è persa, ma nei forni lucerini ci sono sempre delle splendide scanate che continuano a sprigionare invitanti, morbidi, fragranti e seducenti profumi della nostra tradizione..
Rubrica di Lino Montanaro & Lino Zicca