Lino Montanaro e Lino Zicca, hanno pensato di proporre all’attenzione dei lettori poesie dialettali di numerosi autori lucerini.
Queste, insieme a quelle dell’avvocato Enrico Venditti, costituiscono parte del patrimonio culturale della nostra città.
Qui di seguito, la poesia “U CARAVUNIRE” di Lella Chiarella recitata da Vincenzo Palazzo
Doppe ‘na jurnate de vòreje,
‘a notte l’areje s’addulcéve
e a cengiune cadève ‘a néve.
Tu t’arrugnave nd’u litte,
p’u fridde ‘mbegghjave recitte.
Ma, a prim’ore, docia doce
t’arrevave ‘na voce:
Caravune a cannule
E nd’u selènzeje angore:
Me ne vache, oh!
T’affacciave fore
e, mizze a u janghe ‘mmaculate,
‘na macchia scure
vedive lundane:
u carruzze e Arture.
I fèmmene currèvene,
i sacchètte jenghèvene
e appecciavene u vrascire.
Po’ a l’ati strade u caravunire,
traballanne c’u carruzze,
tutte u jurne purtave u fuche.
TRADUZIONE:
IL VENDITORE DI CARBONE
Dopo una intera giornata di bora,
di notte l’aria si addolciva
e la neve cadeva a fiocconi.
Tu ti rannicchiavi nel letto,
per il freddo non trovavi riposo.
Ma, all’alba, dolce dolce
ti arrivava una voce:
Carboni a cannuoli.
E nel silenzio ancora:
Me ne vado,oh!
Ti affacciavi fuori
e, in mezzo al bianco immacolato,
una macchia scura
vedevi lontano:
il carretto e Arturo.
Le donne correvano,
le sacchette riempivano
e accendevano il braciere.
Poi in altre strade il carbonaio,
traballando con il carretto,
tutto il giorno portava il fuoco.
COMMENTO:
La Chiarella con stile asciutto, rappresenta con semplicità il ritratto di una vita di altri tempi. L’inverno, la bora e la neve. E l’uomo, che sente freddo e si rannicchia nel letto ma che si riscalda a solo sentire la voce del carbonaio che vendeva per strada il carbone necessario per riscaldarsi.
Ps: Tempi addietro il carbone, derivato dalla combustione della legna, era il combustibile necessario per cucinare, per riscaldare la casa e, perfino, per stirare poiché i ferri da stiro potevano essere riscaldati solo con il carbone. Il carbone, contenuto in sacchi di iuta e trasportato con carretti, veniva venduto per le strade dai caravuníre, i quali avevano le mani e la faccia nere, coperte dalla polvere di carbone. I più famosi caravuníre di Lucera erano: Arturo, citato nella poesia; “Taníne u caravuníre” che, come riportato nella poesia, si rivolgeva ai clienti con l’espressione «Che faccio me ne vado? Non vi serve niente?», i quali a volte gli rispondevano «Vavattínne e frechéte”»; Ggire u caravuníre e Tasscióne caravóne.